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    Cuel de la Bareta da Patoc
    Alpi Giulie
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    Cuel de la Bareta da Patoc
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SentieriNatura
I percorsi di SentieriNaturaM25

Cuel de la Bareta da Patoc

Avvicinamento

Risalendo dalla pianura la Statale 13 Pontebbana, si imbocca il Canal del Ferro oltrepassando in successione Moggio e Resiutta. Giunti a Chiusaforte si devia a destra lungo il ponte sul Fella seguendo le indicazioni per Sella Nevea. Oltrepassata la galleria, al successivo ponte imboccare la deviazione che sale a sinistra verso le frazioni di Chiout Michel e Patoc. La rotabile, dopo aver compiuto una lunga serie di stretti ed angusti tornantini, raggiunge un ampio spiazzo asfaltato dove si abbandona la vettura (m 772, comodo parcheggio).

Descrizione

Seguendo il cartello CAI imboccare il sentiero n.620 puntando alle case più alte. Raggiunto il piccolo nucleo abitativo deviare sulla sinistra ritrovando il segnavia su un grosso albero. Nelle praterie circostanti a maggio si noteranno le fioriture della primula odorosa e del citiso rosso. Il sentiero, di recente allargato a pista sassosa, si inoltra subito nella boscaglia a pino nero, interrotta per un breve tratto da una zona dirupata e stillicidiosa. Da qui in poi si noteranno le vistose fronde del pero corvino, un piccolo arbusto dalla caratteristica fioritura candida che a primavera si ricopre di un feltro bianco su rami e foglie, e della biscutella. La mulattiera inizia ora a salire a regolari svolte, sfiorando nei tornanti più orientali il profondo canalone del rio Sbrici. Laddove la pineta si dirada, il percorso risale uno sperone roccioso dirupato sulle cui pendici fiorisce in abbondanza la genziana di Clusius. Raggiunta la fascia boschiva superiore dove compare anche il faggio, il sentiero si immette nella cosiddetta Via Alta (m 1150, sentiero CAI n.621 proveniente dai piani del Montasio) e su questa si procede a sinistra seguendo le segnalazioni. Dopo essere passati presso i ruderi dello stavolo Chinop, inizia un piacevole traverso in leggera salita sulle boscate pendici meridionali del monte Jovet. Sulle ultime fioriture di erica si può osservare a primavera la pieride del navone e la tecla del rovo, una piccola farfalla dalla inconfondibile colorazione verde sulla pagina inferiore delle ali. Un cartello segnala a destra la possibilità di visitare la galleria di Guerra del Chinop, distante solo pochi minuti. Dopo aver assecondato alcune rientranze su ripidissimi fianchi rocciosi, si perviene in vista di forca Galandin (m 1222). Questo intaglio stretto e dirupato in realtà rimane più in basso in quanto la mulattiera passa una ventina di metri sopra, sfruttando una cengia assai esposta e scavata nella roccia (cavo passamano). Bellissima la visuale sulle gole franose che scendono negli opposti versanti della forcella e sulle precipiti pareti rocciose del monte Sflamburg.
Oltrepassata la forcella il sentiero prosegue a traversare, alto tra i mughi, nel bacino del rio Cadramazzo superando alcuni impluvi su terreno roccioso e friabile (sconsigliabile percorrere questo tratto in presenza di ghiaccio o neve dura per la continua esposizione sui risalti sottostanti). Si raggiunge così la spettacolare gola del rio Fontanis racchiusa da opprimenti pareti rocciose, che il sentiero supera portandosi poi su una cengia detritica. Qui la mulattiera originaria è in gran parte scomparsa ed è necessaria prudenza nell'attraversamento di un tratto friabile ed esposto (cavo metallico divelto). Su terreno più comodo si perviene ai resti di un vecchio ricovero in legno oltre il quale un secondo cavo metallico facilita il superamento di una breve cengia friabile. La mulattiera, ritornata più agevole, scende leggermente nella faggeta per assecondare un'ultima rientranza in corrispondenza del rio Livinal. Pochi metri dopo ci si innesta sul segnavia CAI n.619 (m 1200) che arriva da Cadramazzo (i primi metri sono stati cancellati da una piccola frana) e che può essere utilizzato come discesa alternativa avendo a disposizione una seconda vettura ad attenderci nel fondovalle (vedi variante). Noi per ora proseguiamo in salita verso il Cuel de la Bareta a regolari tornanti ma su terreno un poco accidentato. Oltrepassata una vecchia vasca ormai seminascosta dalla vegetazione (si trova pochi metri a lato di un tornante destro), si prosegue ancora a mezza costa nella boscaglia fino a raggiungere un bivio presso un crinale boscato. Qui il segnavia CAI n.619 scende nel versante opposto verso la Val Dogna mentre noi ci teniamo a sinistra, in direzione della vetta. Dopo i resti di quella che doveva essere una cucina militare, il sentiero passa accanto alla monumentale stazione superiore della teleferica del Cuel de la Bareta. Ancora pochi metri, immersi nella boscaglia, ed infine con tragitto un poco tortuoso si esce dalla vegetazione arborea e si risalgono gli ultimi metri tra i numerosi resti di postazioni fino a raggiungere la panoramica vetta del Cuel de la Bareta (m 1522, tavolo e panche). A primavera è frequente osservare il macaone mentre percorre instancabilmente i pendii assolati della cima alla ricerca di buon punto protetto dal vento dove posarsi a più riprese. Di grande interesse storico è il complesso di postazioni sotterranee ancora ben conservato che trafora il monte e che può essere visitato entrando dalla galleria poco sotto la cima (cartello storico). Nove cavità scavate nella roccia e raccordate da una lunga galleria sono dotate di grandi feritoie che risultano direttamente puntate verso altrettanti obiettivi bellici. Particolarmente istruttiva è la visuale che si apre sulla Val Dogna, dominata dalla poderosa mole dello Jof di Montasio. Guardando le numerose frazioni della valle si potrà individuare il ripiano di Chiout sul quale aveva origine la teleferica costruita nel 1917, che scavalcava la vetta del Cuel de la Bareta utilizzando la stazione visitata durante la salita per scendere poi nel fondovalle opposto presso Cadramazzo. Uno sguardo verso sud est ci mostrerà infine una sequenza di vette dai fianchi impervi e ricoperti da macchie di mughi. Jof di Miezdi, Jovet Blanc, Ciastelat, Ciuc di Vallisetta: nomi sconosciuti ai più, monti dagli accessi lunghissimi e complicati a tal punto da farne una delle zone più selvagge e solitarie delle Alpi Giulie. Il ritorno avviene percorrendo a ritroso il medesimo itinerario.

Variante in discesa lungo il vallone del Rio Cadramazzo (EE)

Posizionando una seconda vettura all'altezza della nuova passerella sul Fella presso Cadramazzo c'è la possibilità di compiere una bella traversata e soprattutto percorrere la mulattiera di Guerra che dal fondovalle del Fella saliva alle postazioni del Cuel de la Bareta. Il sentiero è ben percorribile ad eccezione di un punto franato in corrispondenza di un canalone e richiede sempre attenzione data la frequente esposizione sopra alti burroni. Di assoluto rilievo lo snodarsi del percorso sopra forre, dirupi e canaloni all'apparenza inaccessibili.
Ritornati al bivio presso il Rio Livinal si discende il piccolo smottamento innestandosi poi sul tracciato del segnavia CAI n.619. Questo prende a scendere in diagonale a mezza costa, sulla destra orografica della valletta. Intersecati un paio di colatoi rocciosi rovinati, si giunge ad una vertiginosa costa affacciata sulla forra che ora sprofonda verso una stretta gola. Si cala a svolte lungo un pendio disseminato di maestosi pini neri fino a riaccostarsi nuovamente alla parete rocciosa di destra. Ora in diagonale, si perde quota decisamente percorrendo un tratto sospeso sopra la forra. L'esposizione cessa per un tratto in corrispondenza dell'attraversamento di un greto sassoso dove la vegetazione si dirada lasciando intravedere sull'altro versante l'orrido canale che discende dalla forca Galandin. Da qui si possono notare anche i terrazzi boscati che sostengono la Via Alta nel tratto dopo la forca. Poco più avanti si incontra il passaggio più impegnativo della discesa: si tratta di un canalone terroso e friabile, molto scavato sui fianchi, in particolare sulla sponda opposta, il cui superamento richiede qualche acrobazia ai bordi. La mulattiera prosegue in discesa offrendo ancora suggestivi passaggi sopra aerei camminamenti, poi il vallone si allarga ed il sentiero si porta verso destra su terreno meno esposto. Con la visuale sul Fella arriva purtroppo anche lo sgradito rumore dell'autostrada che ci accompagnerà fino alla fine. Il traverso si interrompe davanti ad una parete rocciosa presso la quale si inizia a scendere a svolte dapprima larghe poi più strette, sopra un aereo costone. Si giunge così al caratteristico istmo che unisce il pendio appena disceso con un avancorpo roccioso. Il sentiero lo aggira affacciandosi poi direttamente sulla valle del Fella che appare quasi a picco sotto di noi. Qui il sentiero si restringe sensibilmente per calare a svolte gradinate lungo un ripidissimo versante. Giunti ad una cappelletta che segna la fine delle difficoltà, si può fare una piccola deviazione a sinistra per vedere la forra del rio Cadramazzo e il tracciato della originaria mulattiera. Ancora qualche svolta e si guadagna la sede della pista ciclabile, ex ferrovia Pontebbana. Il sentiero prosegue sulla destra passando sotto il ponte della vecchia sede ferroviaria e arrivando alle case abbandonate e pericolanti di Cadramazzo. Di ciò che si vede da qui alla passerella sul Fella è meglio non parlare, meglio ripensare ai selvaggi fianchi di una valle che mai saremmo riusciti a percorrere senza l'opera di coloro che hanno ideato e realizzato questo sentiero.

Questa descrizione e la relativa scheda di approfondimento sono disponibili nel volume I Sentieri della Memoria
Sentieri CAI
Escursione
Attrezzature
A - Passamani
Mese consigliato
Maggio
Carta Tabacco
018
Dislivello
900
Lunghezza Km
14
Altitudine min
772
Altitudine max
1522
Tempi
Dati aggiornati al
2012
I vostri commenti
  • 30/09/2020 Una lunga traversata, saliti da Cadramazzo, il sentiero sale subito ripidamente oggi su terreno umido che richiede attenzione, ambiente suggestivo ed affascinante, acque e profondi dirupi caratterizzano la salita fino al bivio con il sentiero inagibile che sale da Patoc, e poi il bosco con ciò che resta delle costruzioni militari e trincee. Usciti alla luce del sole in pochi metri si passa accanto ad una garritta raggiungendo così dapprima l'antecima con la piccola croce e quindi la panoramica cima, panca e tavolo per la sosta. Lungo rientro percorrendo con molta attenzione il dismesso sentieo 620, saliscendi su frane anche recenti, qualche scavalcanento e finalmente passiamo accanto ad una silenziosa Patoc. Per concludere la traversata non resta che proseguire seguendo le indicazioni del “Giro di Patoc”passando alle pendici del Monte Jama ed accompagnati dalle rumorose acque del rio Patoc, scomoda la mulattiera sassosa del tratto finale, spaccaginocchia, alla destra sale il rumore dell'autostrada e mai suono fu più gradito. Una lunga traversata, saliti da Cadramazzo, il sentiero sale subito ripidamente oggi su terreno umido che richiede attenzione, ambiente suggestivo ed affascinante, acque e profondi dirupi caratterizzano la salita fino al bivio con il sentiero inagibile che sale da Patoc, e poi il bosco con ciò che resta delle costruzioni militari e trincee. Usciti alla luce del sole in pochi metri si passa accanto ad una garritta raggiungendo così dapprima l'antecima con la piccola croce e quindi la panoramica cima, panca e tavolo per la sosta. Lungo rientro percorrendo con molta attenzione il dismesso sentieo 620, saliscendi su frane anche recenti, qualche scavalcanento e finalmente passiamo accanto ad una silenziosa Patoc. Per concludere la traversata non resta che proseguire seguendo le indicazioni del “Giro di Patoc”passando alle pendici del Monte Jama ed accompagnati dalle rumorose acque del rio Patoc, scomoda la mulattiera sassosa del tratto finale, spaccaginocchia, alla destra sale il rumore dell'autostrada e mai suono fu più gradito.
  • 22/05/2020 Salito oggi da Cadramazzo anche perchè ormai è l'unica via possibile per salire il monte. Tutto il percorso lo si può considerare facente parte del sent. 619. Il 620 non comprende più questo settore. Salito con sentiero ottimamente segnalato e molto evidente anche sul suolo. Unica modesta difficoltà ( come menzionato anche nel commento precedente) è l'attraversamento di un breve ghiaione dove serve passo deciso e ben piantato. La cima offre panorami incantevoli. Peccato che la giornata di oggi presentava nuvolosità alta e foschia. Pazienza. Certo che si viaggia in un ambiente molto selvaggio, sempre costeggiato da alte e ripide pareti. Ma queste sono le nostre montagne. Buona vita a tutti
  • 10/02/2020 Sulle orme di Francesca, sabato 8 febbraio siamo finalmente saliti anche noi sul Cuel de la Bareta da Cadramazzo. Purtroppo l’escursione inizia con il desolante spettacolo della discarica a cielo aperto che costeggia la via in coincidenza con la piazzola autostradale, l’inciviltà di qualcuno non conosce limiti, ne’ vergogna … per fortuna il sentiero si alza ben presto sopra queste miserie umane e sul brusio del traffico veicolare, per addentrarsi nel selvaggio vallone del Rio Cadramazzo. Il percorso è ottimamente tracciato, il salto iniziale viene superato da una serie di ripidi tornantini, anche gradinati, in discreta esposizione (attenzione specie in discesa!), poi il sentiero prosegue traversando alto sopra la forra; in alcuni tratti l’esposizione è davvero notevole, tuttavia non crea problemi, in quanto la mulattiera è sempre abbastanza larga e il senso di vuoto è mitigato dalla presenza di un po’ di vegetazione che riveste le scoscese pareti; la pendenza è buona, superato lo strappo iniziale non ci sono tratti eccessivamente ripidi, e qualche traverso dove l’inclinazione si attenua dà modo di rifiatare. Il sentiero è sempre evidente, segnalato e ben percorribile; come già evidenziato da altri, gli unici due punti degni di nota sono l’attraversamento di un piccolo ghiaione e una breve zona interessata da qualche schianto, entrambi superabili senza problemi. Dopo il bivio con il sentiero CAI 620 (dismesso) che proviene da Patocco, si prosegue su terreno più tranquillo verso la cima, preannunciata dagli imponenti ruderi della teleferica. La giornata limpida e serena ci regala un panorama eccezionale, in particolare verso la Val Dogna, la grandiosa parete ovest del Montasio, le selvagge cime della Val Raccolana e lo Zuc dal Bor, che da questa angolatura sembra quasi un Cervino in miniatura. Da non perdere la visita alla galleria delle cannoniere, con le sue ampie sale con i finestroni verticali rivolti verso i vari obiettivi, uno in particolare inquadra il Montasio in maniera sorprendente! In fase di rientro diamo uno sguardo alla stazione della teleferica e ci concediamo una breve deviazione sul sentiero CAI 620 per andare a curiosare sul Cuel de l’Aneit (cimotto immerso nella vegetazione e senza particolare interesse). Escursione che richiede un certo allenamento, ma che non presenta particolari difficoltà in condizioni normali, molto consigliabile sia per gli aspetti storici che per l’ambiente selvaggio ed i grandi panorami che si godono dalla cima. Considerata l’esposizione, che nella prima parte è quasi costante, meglio evitare in presenza di neve o fondo ghiacciato. Mandi a tutti!
  • 07/06/2019 Bellissima e remunerativa escursione in ambiente solitario e selvaggio effettuata ieri da Cadramazzo attraverso il sent. CAI 619. Il sentiero, pur in presenza all'inizio del cartello CAI "dismesso", è ben marcato e non difficoltoso salvo in alcuni tratti ove bisogna avere una certa sicurezza di piede per l'esposizione del percorso, nella parte bassa quasi costante, sulle profonda forra del torrente Cadramazzo. Va prestata un pò di attenzione nell'attraversamento di un ghiaione di una quindicina di metri ove il sentiero è franato, e infine uno schianto sul sentiero costringe a fare un pò di "acrobazie" ma non pericolose. Da evitare comunque con il terreno troppo bagnato o con tratti ghiacciati. Dislivello: mt.1135. Sviluppo: km.11,5. Tempi: un pò meno di 6 ore senza le soste.
  • 30/03/2019 Già da qualche tempo pensavamo a questa cima, il primo tentativo un paio di anni fa da Patoc rinunciando a metà percorso visto che in quel momento non ci era sembrato sicuro proseguire. Dopo aver letto una rassicurante descrizione fatta da un escursionista pochi giorni fa, abbiamo deciso di salire anche se il cartello all’inizio segna inagibile, a nostro parere senza motivo. L‘inizio della mulattiera sale ripida ed esposta, prosegue poi entrando nel vallone piu comoda purché sempre discretamente esposta. Superato il breve franamento che richiede un minimo di attenzione, al bivio con l’ex 620 si entra nella faggeta, con moderata pendenza in poco tempo si arriva in cima che regala superperbi panorami, oltre a far riflettere sui sacrifici fatti dai nostri soldati. Luoghi poco frequentati ma dall indiscutibile fascino!
  • 27/05/2017 Cuel de la Barete da Patoc: MAI PIU’!! Ho provato oggi 27/05/2017 il percorso descritto da SN. Ma la sentieristica della zona è stata fortemente compromessa dall’incendio del 2013. Se tutto è affrontabile fin oltre il bivio 620-621, appena superato il primo tratto della cengia scavata nella roccia, che passa una ventina di metri sopra forca Galandin, la mulattiera è completamente franata in più punti esposti che non lasciano alcuna possibilità di errore (vedi foto allegate). Dopo aver superato i primi tratti, ho desistito e sono ritornato alla base. Buone camminate a tutti. Bepi (Cividale).
  • 21/05/2017 Arriviamo in una Patocco silenziosa, ma il tempo di bere il solito caffè caldo caldo e..zzzzzzzz...... inizia il canto della motosega, nessun dorma! Cuel de la Bareta, 4 ore e sentiero inagibile, così dice il cartello, andiamo a vedere se magari qualcosa è cambiato. Si guadagna quota in fretta, mulattiera comoda, ambiente che incute soggezione per le pareti verticali, gli strapiombi, i resti dell'incendio e l'odor di fumo ancora percepibile ad ogni folata di vento (oggi gelido). Passo felpato sui tratti franati, tre o quattro, un paio di metri ma esposti; il pericolo vero viene però dall'alto, le scariche di sassi mosse da stambecchi a ridosso di forca Galandin e camosci subito dopo la forca, il mio compagno d'avventura, gamba lunga e lesta, corre via mentre io trovo riparo sotto una sporgenza della roccia lungo la cengia. Un'ultima breve difficoltà: l'attraversamento del rio Fontanis ed il sabbioso sentierino, oltrepassato il quale si può procedere in tranquillità. Bella mulattiera, comoda, un bel bosco che rinasce, a sinistra il sentiero che sale da Cadramazzo e poi ancora bosco e i resti visibili della guerra, una baracca oramai inesistente, le cucine, la grande teleferica, una galleria seminascosta e poi usciamo allo scoperto, la tondeggiante cima è a pochi metri, crocetta in legno e tanti resti di postazioni. Vista superba sulla Val Dogna con i suoi giganti di destra e di sinistra; scendiamo mentre arrivano due escursionisti saliti da Cadramazzo, non più giovani, dotati del dono della parola e dell'umorismo, riferiscono di non aver incontrata alcuna difficoltà lungo il tragitto. Discesa più serena della salita, non trovata la deviazione per visitare la galleria di Chinop, dello stavolo restano quattro sassi posti a mo' di muretto. Gran percorso, da farsi in punta di piedi, col rispetto che questi luoghi meritano
  • 10/12/2015 Siamo saliti l'8 dicembre sul Cuel de la Bareta da Patoc col sentiero 620. Il percorso si sviluppa quasi interamente nel sole, eccetto la parte compresa tra la Forca Galandin e Rio Fontanis, che rappresenta il tratto più bello e suggestivo dell'itinerario, ma anche il più impegnativo. Niente di particolarmente difficile per l'escursionista esperto abituato a muoversi su terreni accidentati con passo sicuro e al bisogno lesto. Il tratto particolarmente delicato secondo me si trova sopra e dopo Forca Galandin (salendo), dove diversi franamenti dalle pareti soprastanti hanno invaso la cengia esposta scavata nella roccia, alzandola e restringendola ulteriormente (possibile caduta pietre , è successo prima del nostro passaggio, in discesa). Per quanto riguarda il passaggio nei pressi del Rio Fontanis (non esposto) si transita con la dovuta attenzione nei punti franati, dove i cavi divelti sono comunque inutili, essendo il terreno già consolidato dalle tracce di passaggio. Tracce di neve dura ghiacciata ci sono, ma non pregiudicano la percorrenza (almeno per ora), perchè non si trovano nei punti più difficili sopracitati. Gli evidenti segni dell'incendio dell'estate 2013 rendono questo percorso unico, impressionante ed entusiasmante nello stesso tempo, da percorrere in silenzio, meditando e sorprendendosi ad ogni passo, almeno così e successo a me.
  • 23/11/2015 Percorso il 22.11.2015 con la prima neve, sentiero bellissimo e mozzafiato che sicuramente avrebbe bisogno di manutenzione un paio di punti, specie nella zona di Rio Fontanis, ed in effetti il sentiero è segnalato come inagibile, in realtà con le condizioni attuali non abbiamo avuto alcuna difficoltà e bastava prestare attenzione, ma con l'avanzare della stagione e l'aumento della neve è decisamente sconsigliabile, il panorama dalla cima è fantastico, una visuale insolita sulla val Dogna e su tutte le vette circostanti, nella parte iniziale è ben visibile lo scempio compiuto dall'incendio del 2013, ma la natura sta pian piano rimarginando le sue ferite. Gita altamente consigliabile, neve e ghiaccio permettendo.
  • 29/06/2015 I walked this path 28. 6. 2015: the path 620 was damaged during the great fire in 2013, but the life is coming back to those forrests, gives so much hope to see the green recovery, the flowers, hear the birds. Miraculous life! Here and there you have to step over fallen trees but without problems and in a safe way. The part from forca Galandin to Rio Fontanis needs some attention - because of erosion here and there the path is missing. There are no wire ropes left for protection, but still it's not dangerous to cross, the new path is wide enough to cross in a safe way. The part that needs most attention (across Rio Fontanis) is about 20 m long, but a bypass is already becoming solid and well visible. Cuel de la Bareta is too beautiful, don't hesitate to visit in good weather conditions and paying attention that every mountains in fact needs. This path is one of the most beautiful and pittoresque I've ever done, highly recommended, this is the wild wild west of the Western Julian Alps.
  • 22/05/2014 La mattina lascio sul tavolo le fotocopie dello spensierato lago di Selva. Voglia improvvisa di curiosare su due sentieri “dismessi”. Brizzia o Bareta? Una scelta casuale, senza pensarci. Mi pento appena raggiunto Patoc. Interpreto male e parto dritto nel bosco. Poco dopo, in direzione opposta, individuo la traccia che intersecherà il 620 a quota 1200 e la seguo. Per allora io già non esisto più. La natura abbozza una reazione, ma fino alla forcella l'immagine è di un bosco di cerini usati e piantati a testa in giù. Con l'apice intatto. Da subito è troppo. Automaticamente entro in un embargo emotivo totale. Credo sia l'unico itinerario in cui non abbia mai abbozzato un sorriso. Neanche all’apparizione del primo stambecco. Il branco è sceso, forse dal Cimone, sparpagliandosi fino sullo Sflamburg, collegato da una forcella ombelicale riservata a zoccoli equilibristi. Li incrocerò ancora un paio di volte, salutandoli con la mano ma non con il cuore. Serrato come un riccio. Il troi, eccezion fatta per gli alberi caduti sulla via, è percorribile senza problemi fino alle lavine. Mi fermo alla seconda. La osservo. Decido di calarmi nell'impluvio e risalire senza sfiorarla, pericolosa per consistenza e scivolosità ma non solo. La neve pare compatta, ma, a tratti, è una coperta, solo una leggera coltre a costruir una nicchia ghiacciata per piccole petasiti. Infine quella del rio Fontanis, la più grande. A causa del terreno, superarla è un po' delicato, sia nel calarsi che nel risalire passando la piccola frana. Poi rimangono ancora due punti “critici” per la friabilità e i cavi inutilizzabili. Un'altra lavina ha distrutto i cartelli del bivio per Cadramazzo. Viste le dimensioni, non credo abbia inficiato il troi in questione. Al successivo bivio per la vetta, tre faggi s'abbracciano come urtissons. In cima, il panorama sulla val Dogna è quello dalla profondità più affascinante che abbia potuto ammirare finora. Ma non ci sono. Tra le pietre del caratteristico cippo, scorgo una piccola bottiglia di vetro con all'interno un pezzo di carta. Naufrago emozionale la prendo in mano. Estraggo il “messaggio”. Uno scontrino sloveno, mancava la beffa. Riparto subito. Il superamento delle lavine è meno problematico. Nel calarmi m’avvicino alla più grande. Sotto quel manto scorre impetuoso il rio. Vi penetro per qualche metro. Dietro un fitto e oscuro gocciolio, una minuscola ed effimera grotta, dal candido soffitto e con un letto di rocce lisce e bianche che diventan scivoli di spuma vociante. Il tratto non percorso all'andata è il più affetto dall'incendio. Al suolo, a tratti, solo pietre bianchissime, riverberano come neve, acuendo il nero profondo e denso degli scheletri che mi circondano. Tirando le somme: i cavi sono divelti, le cengie friabili risicate, ma la percorrenza dovrebbe migliorare a lavine sciolte. Certo è che il troi è delicato e da non sottovalutare. Personalmente ne sconsiglio la percorrenza, in quanto, anche ovviando alle difficoltà tecniche con l'esperienza, nulla potrà difendervi dal silenzio che emana un bosco che a tratti sembra ancor fumare. (20.05.2014)
  • 30/05/2013 Il sentiero 620 è segnalato come riservato ad escursionisti molto esperti a partire dal bivio con il 621 a causa di alcune frane. Sconsiglio il transito in quanto le piogge di questa primavera possono solamente aver peggiorato la situazione. Altrettanto vale per il 619 che sale da Cadramazzo e che dalla forca Galandin sul versante della Val Dogna è dismesso dal CAI. F.to R. Drioli responsabile della manutenzione
  • 22/05/2012 il 20 maggio 2012 ho ripercorso questa escursione. L'attraversamento sul rio Fontanis è stato reso agibile. Certo che il posto in questione è alla base di un canalone molto impervio e soggetto all'azione sconvolgente delle acque; speriamo resti transitabile ancora, chissà. Tutto l'itinerario passa su pendii molto esposti. Grande la testa e la mano di chi ha pensato e reso possibile questo sentiero. Non c'è ad oggi neve in nessun impluvio; i faggi hanno un bel colore verdino brillante. Per osservare la vasca fare attenzione su un tornante a destra, in quanto è ormai seminascosta dalla vegetazione e non la si vede se non cercandola attentamente.Dopo il bivio col 619 che scende in val Dogna meritano una visita accurata i resti della poderosa costruzione di teleferica a più piani, in cemento, su cui un tempo poggiavano strutture in legno. La teleferica collegava con Chiout in val Dogna. La panchina in cima che ci offre una bella sosta non ci distolga dalla visita alle postazioni sommitali e soprattutto alla grande galleria a più uscite che trafora la cima, percorribile anche senza torcia.
  • 10/05/2011 Fatto oggi 10-05-11.Persorso pericoloso nel tratto centrale a causa di un nevaio e di una frana.Direi che è meglio aspettare che la neve si sciolga perchè il ritorno per lo stesso sentiero sarebbe impossibile (inoltre in molti tartti il sentiero è franato). Noi oggi siamo stati costretti ad allungare di molto il percorso per non rischiare troppo.Max e Luca.
  • 05/04/2011 Tutte le difficoltà sono concentrate in un tratto centrale, che si percorre complessivamente in una mezz'ora al massimo:si tratta di attraversare qualche nevaio (attenzione, perchè sotto la crosta nevosa c'è qualche decina di centimetri di vuoto, prima del greto ricoperto dal nevaio) e alcuni tratti in cui il sentiero è franato, e ciò che ne resta è friabile.Nessuna preoccupazione per il resto; tra l'altro i segnavia ci sono fin sulla vetta. Una bellissima escursione, comunque!
  • 25/05/2010 Escursione effettuata il 18 maggio 2010: il cavo subito dopo il rio Fontanis non esiste più ed anche quello successivo ai ruderi del piccolo ricovero in legno è parzialmente divelto, inoltre appena attraversato il rio Fontanis il sentiero è ulteriormente franato e ricoperto da detrito perciò in tale tratto (alcune decine di metri) il passaggio richiede molta prudenza per l'esposizione sulla gola sottostante.Escursione comunque molto appagante per gli ambienti selvaggi, per gli spunti storici e per il panorama finale.
  • 22/10/2007 Luglio 2007: sentiero ben tenuto anche se con qualche piccola frana. La vasca è seminascosta dalla vegetazione(oltre che rotta). Nei pressi della cima c'è un cartellone che spiega la funzione delle gallerie dei cannoni nella Grande Guerra.(molto interessante)
  • 01/08/2007 Sentiero CAI: 619. Da Sella Cuel de la Bareta a Val Dogna. Abbandonato (?), mancano le segnalazioni. Forse franato.. Nella Val Cadramazzo, venendo da Stav. Chinop (Patoc), una tabella indica "Val Dogna 2 ore". In realità la segnalazione 619 termina a Sella Cuel de la Bareta. Il sentiero a Val Dogna è in buone condizini ma non sono tracce di percorrenza più (alcuni anni fa ho utilizzato questa via alcune volte). Nel libro di Biv. Cividale è una notizia dal maggio, che il sentiero sia franato. Questo sentiero è importante per fare il anello da Val Dogna-M.Cimone-Alta Via-Val Dogna. È ormai abbandonato? Grazie per altri informazioni.. stainer@tele2.at
  • 05/11/2006 NOvembre 2006: Sentiero molto ben tenuto, qualche piccola frana richiede un minimo di attenzione. La svolta per la cima è poco visibile, non ho notato assolutamente la vasca citata nella relazione
  • 22/10/2005 utima escursione verso cuel barete agosto 2005. sentiero franato in 2 punti lungo i canaloni che precedono il ghiaione attrezzato con corda. percorribile con attenzione.
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