03/07/2016 askatasuna Parto con la gola di ritonare a Chievolis, a salutare Gigietto e Fortunata, a sorridere a quel locale caparbio, aperto da 55 anni, che attende ogni visitatore della valle. Alle Tronconere il benvenuto si manifesta con delle fioriture di Cephalanthera Rubra, poi ci pensa quel bosco morbido e ricolmo di sassi impellicciati. Le foglie dei faiârs si stan facendo grandi, ma la luce gioca ancora con le sorelle che riposano, esauste dalla danza dello scorso autunno. Poi ecco il primo dei tanti camosci della giornata! Il pelo ben spazzolato ed indossato da poco, pare quasi aureo da quanto brilla! Il passaggio fra i maggiociondoli sa di Chinatown. Vieni scaraventato dagli effluvi ancor prima di vederli! Prima ti pataffano i recettori neuronali, poi lo sguardo perlustra vorace l’orizzonte. Ci si passa in mezzo, come fossero addobbi per una gran festa, coriandoli profumati in attesa d’esser sparsi, grappoli d’estasi. Una viperella, tutta attorcigliata su di un masso in mezzo al troi, si districa e se ne va, senza sibilare. Poi è la volta del abbraccio dei prati di casera Navalesc, ricolmi d’orchidee maculate. Un’oasi inaspettata, che nonostante l’abbandono, riesce ancora ad addolcire ogni passo. La forcella è una minuscola rampa di lancio verso Andreis. Potrei venir rapito dalle sue fattezze o dalle pareti rocciose che s’inizian a scorgere, ma è quell’orgia cromatica che m’invade! In quattro metri longitudinali conto ventiquattro fioriture differenti. Ventiquattro! Le forcelle si sa, son gli antichi usci che ci si lasciavan alle spalle per portare a valle le misere ricchezze o per risalirle con le falci o ancora per incontrare altri fantasmi con le schiene spezzate dalla fatica. Ma non v’è solo l’uomo. Son porte per ogni vivente, approdo di vite, debolezza tra le fortificazioni di madre natura. Spesso son brodi primordiali di contaminazioni arcaiche, di idiomi e passi che s’incrociano, certo, ma anche di semi. Racchiudono in sé il meglio ed il peggio dei due versanti, terreno fertile per chi non oserebbe mai spuntare dall’altra parte. A volte son barriere invisibili tra mondi incompatibili, ove ogni specie si divide il proprio areale, la culla prediletta. Qui invece, la forcje si fa luogo d’incontro, gran festa degli impollinatori, caos botanico! La salita continua, ripida e scomoda. Scelgo la cresta, evitando le fettucce che spingono in un canalone. La traccia scompare tra le erbe ben rimpolpate dalle piogge. Decisamente il periodo ideale per raggiungere il monte Castello è passato da qualche settimana. La nuvolaglia, oggi snobbata dall’Arpa, l’ha presa sul personale e divora ogni cosa. In cima solo vapori. Passo tra rocce che son amalgame, antichi resti di quel castello che ha dato il nome al monte. Resto due ore in quella nebbia. Disteso. Con gli occhi chiusi, aspettando che i rondoni mi faccian sobbalzare. Poi li osservo, sfrecciano a coppie. Una rincorsa infinita, oltre ogni velocità percepibile, poi quei cinguettii così rari, a salutar l’amore e via, di nuovo, a rincorrersi, come se dovessero cucire il cielo tutto, come se il giorno non avesse mai fine, come a provare quanto il loro cuore possa batter veloce, per poi fermarsi quell’attimo, e sussurrare la gioia, del gioco, del corteggiamento, della vita. Ad occhi chiusi, tagliando un cielo di cotone, rasentando la terra per esser più vicini allo spazio infinito! Mi ricordo di una recente “rondonevole” esperienza sulle Centenere di Marco. Dal suo racconto ho percepito la stessa potenza, lo stesso stupore. Il ritorno è segnato dal rintocco delle fughe. Ancora quei manti! Ancora quei soffi! Un ultimo sguardo lo dedico al surreale. A quelle chiome che non han potuto sfuggire all’invaso della valle. Le mangrovie di Selis però non mollano! Respirano in punta di piedi, con i pesci a fargli il solletico al posto delle formiche. Han pazienza. Prima o poi la valle ritornerà loro! (29.06.2016)