27/02/2021 daniele.russo Molto bello questo itinerario, per nulla frequentato. Dal torrente Degano a Givigliana si esaurisce tutto il dislivello in salita; il sentiero è ben agibile, completamente senza neve, e ripulito dagli schianti, come confermato da un signore che abbiamo incontrato alle case di Sglinghin (ha detto che è il suo passatempo, pulire il sentiero, e noi lo abbiamo ringraziato sentitamente :) ). Bello il panorama da Givigliana; le difficoltà arrivano nel primo tratto del rientro: la parte del sentiero 162 in ombra è coperta di schianti e rami tagliati, ricoperti a loro volta di uno strato di neve in via di scioglimento, per cui bisogna procedere cautamente per evitare di farsi male sprofondando nella neve (in alcuni punti si aprono delle vere e proprie voragini). Casualmente, questo è anche il punto più esposto dell'escursione - meglio non fidarsi dei passamano in legno che non sembrano molto stabili. Aggirato lo sperone roccioso si torna sotto il sole e la neve è tutta sciolta; la discesa si fa piacevole. A Stalis incontriamo un vecchio cane di nome Rolly che decide di scortarci fino alla fine del paese. La giornata è stupenda e il sole scalda come in estate; non si può che concludere la gita con una buona pizza sulla piazza di Rigolato.
26/02/2015 askatasuna Il sole del primo mattino dona la vita alle anime contadine immortalate sul magnifico campanile di Gjviano. Un cartello di legno ci dà il benvenuto a Coccolandia! Sorrido ma un coccodrillo stilizzato mi fa intendere d’aver frainteso. Le strade di Givigliana tirano e scaldano subito. Punto a sella Bioichia con Marco che prende al volo un invito last minute: il Crostis via cresta. Il troi pare allestito da un team di ortopedici in cerca di clienti. Marco sale comodo coi ramponcini mentre io prima di indossare i miei gramponazzi da un chilo mi danno a cercare invano alternative nel bosco, pensando si tratti solo del primo tratto. No way! Tocje propit muardilo chel troi! Alla prima radura lascia il posto alla neve. Seguiam le orme di chi ci ha preceduto poi alla fine del bosco si punta alla cresta con appetiti divergenti. I ramponcini cercan le erbe per evitare ogni tre passi di portarsi appresso il peso delle nevicate e diventar trappole mortali, le mie zampe invece necessitano di mangiar neve per non farmi apparire malato di labirintite. Mano a mano che si sale, il sipario si alza. Le parole restan quasi in gola. Inutile elencare le meraviglie che si staglian intorno in un giorno così terso. Certo, salire il Crostis è sempre un crescendo emozionale che affonda ad ogni respiro ma farlo quando è vestito di bianco, anche se un po’ sgualcito e a volte rattoppato da rocce ed erbe, è travolgente. Sotto di noi un enorme rapace. Dalla potenza e dallo stile di volo non abbiamo dubbi, un’aquila! La conca di Plumbs sembra aver accolto in sé tutte le nevi spazzate via dal vento che ha schiaffeggiato il massiccio del Coglians. La picca del Coventas, al contrario, è quasi primaverile e mi costringe di passar di chiazza in chiazza. Dalla prima cimotta che da l’illusione d’esser arrivati, il paesaggio sotto le zampe muta di stagione. Finalmente mi muovo a mio agio, gradinando il cammino. Una punta di roccia invita al raggiro (a meno di non deartigliar le zampe) scendendo per poi risalire il pendio. Qui non si affonda. La neve è dura e si fa azzannare solo dai rostri anteriori. Si va su a polpacci. Supero una tana che vorrei curiosare ma guai a fermarsi o guardar indietro. Io lo faccio e immagino la scivolata galattica fino a casera Neval quattrocento metri più sotto. Brrr! Ritornato in cresta mi rilasso. La dorsale nord è piena di pieghe ed anfratti, meno lineare e mi permette di giungere a mia insaputa a pochi metri da una splendida pernice bianca che fugge verso il Floriz. Stagione dura per lei, pochi metri dividono il suo ingegnoso mimetismo millenario da un luminescente invito per qualsivoglia predatore. Quando appare la croce chi la nota? Gli occhi si perdono in ogni dove.Vorrei lasciarmi andare, che siano lacrime o sorrisi, ma dietro non vedo Marco, ha optato per aggirar un traverso e ci siam divisi. Preoccupato, ravano la cima divorando l’oriente e cercando il compagno di salita a occidente. Alla fine ci si ritrova, condividendo con poche parole e con gli occhi che brillano lo spettacolo del tutto. La discesa, fino al bosco, è sintomatica del bipolarismo niveologico del momento. Sprofondamenti improvvisi, solide lastre, appoggi morbidi.. tutto in pochi metri in un susseguirsi di sorprese poco gradite. Ma poi, scendere arpionati al troi con passi da metro e mezzo con le zampe che si fan trampoli è una sensazione che ripaga il disagio. Tra saliscendi vari poco più di milleduecento di dislivello, nulla se rapportato alla gioia d’esser scesi con gli zaini pieni d’emozioni. (19.02.2015)