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Terza Grande

01-10-2015 17:42
askatasuna askatasuna
Per golosa disattenzione manchiamo l’attacco del troi a Pian di Casa, partendo alla successiva fermata del 203, prima di salire a forcella Lavardet. Forse a causa d’un destino complice. Tutto il tratto di carrareccia infatti, lo percorriam silenti, con orecchie che si fan elfiche ed incredule. Le fiancate boscose che scendon dalla cresta saurana hanno il mal di stomaco. E’ un vociar di viscere! Da pelle d’oca! Almeno al principio. Procediamo in equilibrio instabile fra lo stupore e le risate. E’ già chiaro da un po’ e ancora si espandono gli echi del bramir cortese. Più avanti, diversi pezzi di montagna son stati trascinati in tempi immemori, forse dai ghiacci, per poi trasformarsi, come dice l’amica di monte, in minuscoli continenti. Deserti minerali che pazientemente han atteso il posarsi della terra, l’affacciarsi dei muschi, il solletico delle prime radici, per poi diventar letto per i larici che vi si sono appollaiati per primi. Il freddo ha cristallizzato il pianto della Creta di Mimoias. L’ultimo scorcio d’azzurro lo gustiamo dal passo Oberenghe. Impressiona la staticità del manto di nubi, nonostante le violente sferzate di un’aria gelida. Pare intirizzito pure quel uccello di pietra che annuncia la scalata alla vetta. Divertente e mai esposta. Tranquilla, nonostante sia un continuo calcar di briciole. Spesso, sia salendo che scendendo, la via si fa scelta personale, privilegiando percorsi paralleli e verticali che paion più solidi ed amichevoli. Il canalino sommitale presenta un cavo di cui, empiricamente, non ne capisco l’utilità, sentendolo solo d’intralcio. In cima mentre verifichiam l’ipotesi di passaggio tra le due vette, scatta la prima palla (leggasi lastra) di neve a tradimento. Scartiamo l’avventura per la delicata friabilità della cresta. A parte la dorsale della Pitturina e i titani dolomitici, l’orizzonte è spoglio del candore che temevo, che rimanda certe ascese a guarnizioni ben più generose di panna montata. La corona che cinge Sauris è sfiorata al millimetro dalla nuvolaglia compatta, altre picche, più alte, ne sono inghiottite. Solo il gelo ci allontana da quella mescola di grigiori e lampi di luce, da un panorama che s’appiattisce e si deforma grazie a quel soffitto che pare abbassarsi sempre di più. La discesa non impensierisce troppo, anche se richiede calma e polpastrelli. Ritornati alla carrareccia veniamo nuovamente scossi dai bramiti. Non ci voglio credere. Ancoraaa? Butto là qualche altra ipotesi ma pare trattarsi incontrovertibilmente di quelle serenate minacciose degli spiriti baritoni delle foreste. Una vicina coppia di caprioli rimane immobile, nel bosco. Impressionata come noi dalla profondità di quei suoni che scuoton la pancia della valle.(30.09.2015)
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