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Spalla del Duranno dalla val Zemola
N. record trovati: 5
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11-11-2020 14:18
cjargnel cjargnel
Difficile resistere al richiamo della Val Zemola e ieri 10/11/20 ci torno dopo pochi giorni con mèta stavolta la Spalla del Duranno. Salita percorsa come da sempre attuale relazione del sito. Unica piccola licenza l'aver, una volta imboccato, continuato con il 374 fino al Rif. Maniago. Al ritorno lo seguirò fin dove possibile ossia fino ad attraversare il Rio Val de Botha ove poi continuo fiancheggiando quest'ultimo lungo il ben attivo cantiere. Sotto, inevitabile proseguire per l'ampia pista con attraversamento del Zemola e facile individuazione della prosecuzione lungo la sponda in dx orografica fino a confluire sulla pista dell'andata. Percorribilità molto buona lungo tutto il tragitto. Zona dei mughi ben pulita. Attrezzature perfette. L'uscita in forcella non si può dimenticare così come lo sviluppo per ampia panoramica cresta e il cocuzzolo sommitale ove l'occhio può bearsi di viste da favola. Pesa decidere di rientrare. Giornata veramente appagante. Mandi e buine mont a duç.
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20-10-2016 18:50
askatasuna askatasuna
Il cielo terso fa da sfondo alla trinità che delimita la verde navata di ponente. Mi attira in particolare la Palazza. Da qui ne ammiri il fianco roccioso ed obliquo. Pare una vipera dal corno uscita dal bosco, con la testa appoggiata sulle verdi praterie inclinate. Immobile, mette in mostra la sporgenza ossea che contraddistingue la sua specie, ma per quanto scruti il cielo, la lingua biforcuta non si degna d’uscire per annusar le nuvole. Le pareti della Spalla si mostrano con quelle rughe aranciate in pieno contrasto con il regno delle ombre che tiene ancora in scacco il canalone. La frana del monte Toc, da qui pare la gigantesca impronta digitale di un pollice, immerso in un inchiostro biancastro. Come a sottolineare che quella che spesso ci si ostina a chiamare “disgrazia” sia stata in realtà un crimine premeditato, i cui colpevoli e mandanti erano già ben noti e denunciati da una coraggiosa giornalista di quegli anni. Il tratto che porta alla cima mi ricorda le Postegae. Un breve susseguirsi di dune di ghiaie fine, un abbozzo di deserto grigiastro, con quel verde pronto a spiazzarti. Una stambecca si sposta svogliatamente dal troi e mi lascia il passo. Il piccolo gruppo che incontro in vetta se ne va rapidamente. Resto solo. Ma non per molto. Due ombre lontane spuntano dalla forcella. Man mano che s’avvicinano, si rivelano. Una stambecca col suo cucciolo. Li seguo fino a quando scompaiono dietro l’ultimo cocuzzolo. Sospiro e continuo a volgermi a ovest. Poi mi rigiro, come se parte della retina destra avvertisse i sensi d’una presenza che la visione focale ignora. La madre spunta ad una ventina di metri da me. Mi osserva. Sbuffa, non soffia, sbuffa. Avanza un passo alla volta. Ognuno scandito dal silenzio, dal suo sguardo fisso, dal mio stupore. Ci mette un paio di minuti a posare le zampe accanto al bastone che indica la cima. La SUA cima. Ben ritta, continua a squadrare quella figura che siede una decina di metri sotto di lei. La prospettiva mi rende piccolo. Rimango inebetito. Poi ancora uno sbuffo e un passo. Ancora silenzio. Un fermo immagine irreale. L’aria viene spinta fuori dalle narici mentre il capo rimane alto e fiero. Un altro passo rende l’aria elettrica. Ci separa qualche metro appena. La guardo immobile mentre dentro sono un turbinio d’emozioni. Poi è la coda dell’anima a ricordarsi ciò che un sentire focalizzato sulla meraviglia non coglie. Mi ricordo del racconto dell'amico Gianni, alpinista, scalatore e scrittore vicentino, sempre al fianco delle lotte per i popoli oppressi. Per anni è stato accompagnato nelle sue scorribande selvagge, che duravano giorni, da Grillo, più che un cagnolino, il suo compagno di cordata. Proprio su questa cresta una stambecca lo caricò e lo fece volare a fondovalle. Una perdita che ancora oggi racconta a fatica e che trancia violenta, a distanza di vent’anni, il suo travolgente intercalare sorridente. Perché, come scrisse in un suo libro sui ponti di roccia, “Era il mio cane, mio amico, mio fratello. Ci animava lo stesso spirito errabondo, l’insofferenza per le convenzioni e le comodità. Nel rigore dei bivacchi invernali, tra le nebbie e gli improvvisi temporali, non mi sono mai sentito solo”. Un ricordo che risveglia la mia razionalità. Quella madre sbuffa! Non soffia! Non s’è accorta che sono “il predatore”. La prospettiva mi rimpicciolisce, alta davanti a me, con le zampe anteriori ben puntate a terra, mi ha declassato a semplice intruso. E gli intrusi, se s’ha famiglia, son da cacciare. Mi alzo in piedi lentamente e nei suoi occhi percepisco come si sia accorta del grave errore di valutazione. Adesso sì che soffia! E pian piano retrocede timorosa, portando con sé il cucciolo che, probabilmente, stava per ricevere la prima lezione su come usare quelle sporgenze del capo tanto scomode da portare appresso. Ci vuole un po’ per ricomporre il puzzle emozionale e ben disordinato che quest’incontro ravvicinato di memorie e realtà ha composto. Poi riparto per il sentiero Zandonella: un amalgama di cenge, ripidi verdi e canalini. Attrezzato solo in un paio di punti. Non è un troi, ma un flipper. Ti sballotta continuamente di versante. Quando non te l’aspetti, un salto invalicabile ti ribalta a nord e poi di nuovo a sud, appena ti rilassi su quegli esili bordi erbosi, già devi rimetter mano sulla roccia. Illogico e sinusoidale, con quei saliscendi improvvisi, non fa rimpiangere l’innato desiderio di continuare sul filo del rasoio, senza mai abbandonarlo, senza staccarsi dall’azzurro. Nell’ultimo canale da affrontare in discesa, la bassa qualità della roccia mi fa aggrappare al cavo. Poco dopo un cartello appoggiato a terra segnala una variante da non perdere. Questa porta sul versante di levante, caratterizzato da una splendida cengia che oppone solo una difficoltà: scendere una paretina attrezzata di un paio di metri, avida di appoggi ma non esposta, in cui il cavo presente ritorna utile e quasi indispensabile. Dopo forcella Pagnac ancora una breve salitella e poi è tutta discesa. Ma mica quella comoda e defatigante che t’aspetti! Si segue la linea d’un impluvio, ripida e con qualche passaggio di I grado. Fino ad incrociar il troi 381 proveniente dal rifugio Maniago, l’attenzione non può esser stipata nello zaino. Il sole nel frattempo continua il suo peregrinare e finalmente mostra le sfaccettature salmonate del Duranno, mentre le praterie verticali delle Centenere prendon vita. A casera Bedin non aspetterò solo degli amici, ma anche la fine di quel viaggio, con gli ultimi colpi di coda del giorno, ad incendiar il Col Nudo.(14.08.2016)
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09-07-2016 16:49
cheidoi cheidoi
Escursione del 07-07-2016
Effettuato salita per segnavia CAI 374 fino al rif. Maniago e proseguito sul sent. 382 fino alla forcella e poi fino alla cima della Spalla del Duranno. Niente di particolare da segnalare, solita attenzione sul canalino detritico prima della forcella. Pernottamento al rifugio ed il giorno successivo rientrati chiudendo un anello per sent. 381 passando per Casera Bedin. Bellissima escursione, splendide fioriture, penalizzata a momenti da scarsa visibilità in quota.
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19-09-2015 22:29
brunomik brunomik
Incuriosito dalla foto di presentazione di questa escursione ho proposto al mio compare questa meta e oggi abbiamo salito la cima della Spalla del Duranno. Poco o niente da aggiungere se non che è davvero meritevole sia per l'ambiente attraversato che per il bellissimo panorama verso le Dolomiti. Non difficile la rampa per la forcella della Spalla ma da affrontare comunque con attenzione.
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01-07-2015 00:00
matteo.pauletto matteo.pauletto
Percorso il 28-06-15. Dopo aver pernottato al Rifugio Maniago, siamo saliti alla spalla del Duranno: vista da togliere il fiato e fioriture ad ogni passo. Necessario passo sicuro sul canalino dentritico prima di arrivare alle forcella. Mandi
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