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Anello del monte Pacoi da Moggio Udinese
N. record trovati: 5
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03-03-2019 18:16
giuseppe.venica giuseppe.venica
Escursione effettuata il 03/03/2019 come da relazione di SN. Il tratto iniziale si salita fino a St.li Stivane e la discesa finale dagli St.li Verzan, sono un percorso di tipo T. La salita da St.li Stivane alla cima del Pacoi e la successiva discesa fino agli St.li Verzan, sono un percorso adatto solo per EE. Con terreno asciutto non presenta punti particolarmente pericolosi, ma è molto ripido e faticoso (sia la salita che la discesa). Seguendo con attenzione i rari bolli rossi, nel tratto finale della salita si deve attraversare un canalone detritico e subito dopo risalire una ripida rampa esposta, resa scivolosa dalla lettiera. La “cima” è alquanto anonima, ma grande è la soddisfazione di esserci arrivati. Alcuni schianti nella zona sommitale rendono poco evidente l’inizio del tracciato per la discesa; una volta trovata la giusta direzione (tenersi inizialmente alti sulla dx), non resta che seguire fedelmente i bolli rossi; un unico schianto sembra precludere il percorso, ma è proprio nel punto in cui il sentiero fa una decisa svolta a dx, prima di riprendere la suggestiva discesa a ripidi tornantini tra macchie di pineta. Sconsigliato con terreno bagnato o in presenza di ghiaccio o neve. Notevoli fioriture di Elleboro Nero. Buone camminate a tutti. Bepi (Cividale).
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10-02-2016 19:26
askatasuna askatasuna
Una manciata d'ore disponibili (e la curiosità) mi fan trascinare Michele su quest'anonimo monticello. Vestito senza fronzoli con una tunica boscosa, si lascia ingentilire gli orli dalla delicatezza degli Ellebori neri che ci dan il benvenuto. Una volta al roccolo illustro allo sgomento compagno di viaggio, la ragion d'essere d'un giardino così curato in mezzo al bosco. Nella postazione di controllo vi sono riposte ancora le gabbie numerate. Della legna ben stivata fa intendere come quel grazioso strumento di cattura, tortura e morte, possa ancor esser utilizzato da chi mal sopporta la libertà altrui, forse per aver perso la propria. La cima è una porta socchiusa, occorre sbirciare. In una giornata così tersa osservo lo Zuc di Masareit cercando una ragione una per non aver scelto lui. Il ritorno regala un bello scorcio del gruppo del Sernio. Poi eccoli lì, gli stavoli del Verzan. Uno solo, ancora per poco, si tiene in piedi, caratterizzato da una stanzetta con uno spolert grezzo, di mattoncini rossi. Sicuramente sostituito alla precedente fucina di calore. Meravigliose quelle pareti arrotondate, impreziosite dalle nicchie! Un gioiellino oramai ossidato e smangiato dall'abbandono. Poi passiamo ai ruderi. Io ci curioso sempre, per scovar memorie o semplicemente per osservare l'osmotica riconquista di madre natura. Pareti che diventan giardini terrazzati, muri che proteggono fioriture particolari, travi che, una volta collassate, assumon strane pose e si donano ai muschi. A volte ci trovi intonaci sbiaditi, acquerellati dalle muffe, o licheni che s'aggrappano alle pareti, colorandole. Spesso i miei occhi cercano quel clautât che prende il nome di cjvile (ciavile par koinè, caviglia par talian). Un grosso chiodo in ferro a sezione quadrata, dalla capocchia larga, di diverse dimensioni e grandezze. Veniva utilizzata per unire e dar sostegno a travi e capriate dei tetti. A volte si conficcava pure nel muro o nelle travi verticali per appendervi oggetti. La cjvile non è un solo grande chiodo. Perchè è stata forgiata a mano subendo la violenza della mazza, è stata bagnata dal sudore del fabbroferraio che l'ha addomesticata, regalandole forma e spessore, rendendola unica e differente da ogni altra ferrea sorella, fascinosa proprio per la sua imperfezione. La cjvile non è solo un grande chiodo, ma una traccia nei tempi. Ha resistito fino alla fine del XIX secolo quando la produzione dei chiodi si fece via via più seriale ed industriale, assumendo una sezione sferica e sfuggendo alle mani degli uomini. La cjvile non è solo un grande chiodo, era depositaria di sicurezza, a lei ci si affidava affinché il cielo non cadesse sulla testa degli abitanti. Su di una trave marcescente ne trovo una splendida, la punta pare piegata nella forgia stessa, ha la perfetta forma di una i lunga. Probabilmente, quando ha ceduto il tetto travi e cjvilis s'abbracciavano ancora con forza, per poi arrendersi e curvarsi al peso dei detriti. La presento a Michele, gli occhi gli brillano. Lo faccio puntare al rudere più in alto, sperando che anche lui possa trovare la sua. Ma non fa in tempo a voltarsi che quasi si ribalta tra gli arbusti. Sommersa da essi esce una cjvile. Ma non una qualsiasi, la gemella di quella che stringo in mano. Con la stessa curvatura. La cjvile non è solo un grande chiodo, può esser anche la metafora d'un amicizia che sfida intemperie e gravità, che sorregge il peso del tempo, che unisce indissolubilmente imperfezioni ed unicità. Scendiamo ognuno con un pezzo dell'altro, sorridendo ai giochi di messer destino.(05.02.2016)
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14-12-2015 15:30
loredana.bergagna loredana.bergagna
Abbiamo fatto pace il Pacoi ed io, grattata via quella vecchia ruggine... oggi mi ha tirata su indicandomi sempre la via migliore con quei bolloni rossi che mano pietosa (o generosa) ha apposto dallo stavolo Stivane di sopra fino allo stavolo del Verzan. La traccia alle volte si nasconde, altre volte diventa sentiero, si sbuffa un po' in salita a causa della pendenza ma si sbuffa anche in discesa, e forse anche di più, il letto di foglie è profondo e nasconde sassi e legnetti. Il pulpito erboso che si vanta di chiamarsi cima assomiglia molto di più ad un fazzoletto tempo e per giunta stropicciato tanto è minuscolo. Dagli stavoli del Verzan i bolli scompaiono ma il sentiero si è oramai quasi trasformato in mulattiera
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17-03-2014 13:26
elena.sclauzero elena.sclauzero
Effettuato ieri l'anello, non senza problemi nell'individuare il percorso, a causa della neve ancora presente da quota 900 mt sia in salita che in discesa. Per imboccare le traccia che dallo Stavolo Stivane conduce alle pendici del monte Pacoi, dopo il cartello CAI si entra nel bosco e, ignorando i segnavia che proseguono verso destra, ci si tiene a sinistra (si può seguire la recinzione elettrificata attualmente presente); in breve si giunge alla cresta, che si inizia a risalire piegando a destra. Abbiamo cercato di ripulire la traccia, che è abbastanza evidente fino al "ripiano boscato" di cui si parla nella relazione. Da questa piccola sella fino in vetta la traccia non è visibile a causa della neve; siamo comunque riusciti ad individuarne lo sviluppo seguendo le indicazioni della relazione (nonché delle provvidenziali impronte di ungulato). I due piccoli impluvi vanno attraversati con molta cautela. Sempre "a naso" abbiamo percorso la cresta del Pacoi fino al "pulpito erboso", dal quale il panorama si apre sulla Val Aupa. La discesa inizialmente è agevolata da bolli rossi evidenti, ma ben presto questi si fanno radi e sbiaditi e la neve non ci permette di individuare il percorso al suolo. Non riusciamo ad indirizzarci alla "debole costola tra due impluvi detritici" e, trovandoci ad essere scesi eccessivamente, siamo costretti a piegare a sinistra per non finire in uno di essi; un po' ravanando per greppi, decidiamo di mirare ad un torrente per seguirne il corso fino ad intercettare a destra la vecchia traccia indicata a quota 694 sulla carta Tabacco, che in breve ci conduce al sentiero per gli Stavoli del Verzan. Sicuramente per escursionisti esperti.
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08-01-2013 22:21
loredana.bergagna loredana.bergagna
Pacoi, riscoprire il piacere di andare nel silenzio, non un alito di vento, non un incontro e nemmeno un rumore (salvo che per un breve tratto iniziale l’ansimare della cartiera).
La pista (segnavia Cai) che sale a Ravorade e a Stivane è in gran parte cementata, un letto di foglie nasconde le insidie dei tratti ghiacciati, a Stivane un cartello Cai indica Pacoi 50’, ci sono le vecchie trincee ma non vedo traccia della “traccia”; decido allora di proseguire lungo il sv 743 fino a Verzan e da lì salire alla cima dal sentiero indicato per la discesa. Dopo qualche centinaio di metri, dove il sentiero compie un traverso su ghiaie, lo stesso sentiero è franato per un buon tratto oltre i primi tre rinforzi di legno, le passerelle di legno penzolano, intravedo la prosecuzione del sentiero un centinaio di metri più avanti ma la natura friabile del terreno mi convince a tornare indietro. Ritornata agli stavoli Ravorade seguo in sentiero che sale agli stavoli del Verzan, vecchia tabella in legno, traccia priva di indicazioni ma sempre ben marcata e facilmente percorribile, in breve arrivo alla spianata degli stavoli, a sx è ben visibile l’unghiata bianca della frana alle pendici del Pacoi. Seguo per una decina di metri il sv 743 indicante Stivane e finalmente ecco a dx il sentierino che sale al Pacoi (tabella Pacoi 50’).
Tempo scaduto, si rientra, ma ci tornerò, andata e ritorno per la stessa via.
Mentre scendo Moggio è ancora dal sole dal sole, fantastico il colore del Fella, m’incanta sempre.
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